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LO SPORT CONTRO IL BULLISMO, COSTRUIRE AUTOSTIMA E APPARTENENZA

Immagine del redattore: Mariano CastilloMariano Castillo

Il bullismo è un problema serio. Non è una "fase che passa", non è qualcosa da ignorare sperando che si risolva da solo. È un veleno che distrugge l’autostima, che isola i ragazzi e li fa sentire sbagliati. Ma c’è una via d’uscita.Lo sport.


Lo sport non è solo una competizione, non è solo vincere o perdere. È una scuola di vita, un luogo in cui il rispetto, la disciplina e il valore del lavoro di squadra contano più delle parole degli altri. Dove un ragazzo può ritrovare fiducia, crescere, sentirsi parte di qualcosa di più grande. Perché il bullismo isola, ma lo sport unisce.


Lo sport come risposta: qui si cresce, qui si cambia

Nel mondo dello sport non ci sono vittime e carnefici. Ci sono persone che vogliono migliorarsi. E migliorarsi è l’unico modo per uscire dal tunnel del bullismo.

Uno studio dell'Osservatorio Indifesa 2023 ha rilevato che quasi il 48% dei giovani è vittima di bullismo o cyberbullismo. Quasi un ragazzo su due ha dovuto sopportare umiliazioni, esclusione e insicurezze. Ma qui c’è la differenza: chi si allena, chi gioca, chi impara a stare in squadra, impara anche a stare al mondo. Perché nello sport non importa chi eri ieri, importa cosa fai oggi. Se ti impegni, vieni rispettato. Se migliori, vieni considerato. Questo è il primo passo per uscire dal ruolo di vittima e diventare protagonista della propria crescita.


L’autostima si costruisce, non si regala

L’autostima non è qualcosa che ti danno gli altri. È qualcosa che ti costruisci con il lavoro e con i risultati.

Uno studio dell’Università di Padova dimostra che la pratica sportiva è direttamente collegata a una maggiore autostima e a una migliore percezione di sé. Perché? Perché nello sport non conta da dove parti, conta quanto sei disposto a lavorare. Ogni allenamento, ogni progresso, ogni piccolo successo diventa una prova che tu puoi farcela.

E chi sa di valere, non si lascia più mettere i piedi in testa da nessuno.


Appartenere a qualcosa di più grande

Il bullismo crea insicurezza e solitudine. Lo sport crea comunità e identità.

Partecipare a un’attività sportiva regolare non è solo un modo per tenersi in forma, è un’opportunità per costruire relazioni sane. Secondo uno studio pubblicato sul Giornale Italiano di Educazione alla Salute, Sport e Didattica Inclusiva, chi pratica sport ha maggiori capacità di socializzazione, una migliore gestione delle emozioni e una maggiore tolleranza alla frustrazione.

In una squadra, in un circolo sportivo, non sei mai solo. Se cadi, c’è qualcuno che ti aiuta a rialzarti. Se sbagli, c’è qualcuno che ti incoraggia a riprovare. E quando impari a supportare gli altri, impari anche a sostenere te stesso.


Fare Squadra: Genitori, Tecnici e Giovani Insieme per Vincere

Lo sport da solo non basta. Per aiutare davvero un giovane che soffre a causa del bullismo, serve una squadra più grande, una rete di supporto in cui ogni ruolo è fondamentale. Gli allenatori vedono i ragazzi in campo, ne osservano le reazioni, i progressi e le difficoltà. I genitori conoscono le emozioni dei propri figli, sanno cosa li rende felici e cosa li preoccupa. Ma se queste due realtà non comunicano, il rischio è perdere di vista ciò che conta davvero: il giovane.

Un ragazzo che è vittima di bullismo spesso si chiude in sé stesso. Prova vergogna, si sente fuori luogo, pensa di essere lui il problema. Magari non lo dice, ma lo lascia trasparire nei gesti, negli sguardi, nell’atteggiamento. Qui entra in gioco la comunicazione. Tecnici e genitori devono parlarsi, confrontarsi, collaborare. Non serve puntarsi il dito contro, serve essere alleati.

Quando un ragazzo sente che c’è un gruppo di adulti che lavora per lui, che lo sostiene e lo accompagna, allora trova la forza per reagire. La squadra più importante non è solo quella in campo, ma quella fatta di chi crede in lui. Perché il messaggio che deve arrivare è chiaro: non sei solo, siamo con te, e insieme possiamo vincere questa battaglia.


Le storie di chi ce l’ha fatta

Lo sport ha già cambiato la vita di tanti ragazzi.

Leonardo Cesaretti, vittima di bullismo a 11 anni, ha trovato nella Polisportiva Castelli Insieme Onlus un modo per riscattarsi. Oggi, a 16 anni, è volontario e aiuta ragazzi con disabilità a giocare a hockey su sedia a rotelle. Non ha solo superato il bullismo: ha trasformato la sua esperienza in un modo per aiutare gli altri.

Dominick Cunningham, ginnasta britannico, veniva deriso dai suoi coetanei perché praticava uno sport considerato "da femmine". Ha ignorato le critiche, ha continuato ad allenarsi, è diventato campione del Commonwealth. Ora è lui a parlare ai giovani, a dire loro che il giudizio degli altri non conta: contano la passione, la determinazione, il lavoro.

Questi ragazzi non si sono fatti fermare. Hanno usato lo sport come strumento per costruire chi volevano essere.


Lo sport non dà scuse, dà soluzioni

Il bullismo può distruggere l’autostima di un giovane. Lo sport la ricostruisce.

Ma non basta iscriversi a un corso e aspettare che le cose cambino da sole. Bisogna avere il coraggio di mettersi in gioco, di faticare, di dimostrare a se stessi e agli altri che si vale.

Lo sport non fa miracoli, ma dà opportunità. Offre un ambiente in cui chiunque può trovare il proprio spazio e il proprio valore. Il resto lo fa la mentalità. Perché alla fine, nella vita come nello sport, chi si rialza e continua a lottare è sempre quello che vince davvero.

 
 
 

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